
Comunicato del Comitato editoriale di Maydan sulla decolonizzazione dei saperi e la violenza coloniale
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In questo momento storico per la regione mediorientale e per il mondo, caratterizzato da una forte violenza materiale, simbolica ed epistemica, il Comitato editoriale di Maydan vuole esprimersi con fermezza sul tema della decolonizzazione, che attraversa e permea oggi le scienze sociali e umanistiche rispetto ai mondi di cui ci interessiamo, ma che è anche al cuore della questione israelo-palestinese. La decolonizzazione dei saperi di cui intendiamo essere espressione e motore nel nostro lavoro di produzione della conoscenza passa anche per un approccio critico e attento nei confronti dell’informazione.
In questi giorni, in Italia, in Europa e negli Stati Uniti, l’informazione si sta rivelando mistificatoria e fondata su posizioni orientaliste e neo-coloniali, mascherate da “guerra al terrore”. Il linguaggio dei media riprende tecniche propagandistiche impiegate in questa misura soltanto ai tempi dell’11 settembre e dell’invasione americana dell’Iraq, nella quale, non dimenticheremo mai, hanno perso la vita un milione di iracheni che sono stati considerati vittime di secondo piano. Nonostante una parte della comunità accademica ritenga che il discorso orientalista sia ormai superato, oggi esso è ancora adoperato e operativizzato a supporto della violenza e dell’impiego di alcuni degli armamenti più distruttivi al mondo contro una popolazione che da 17 anni subisce un embargo quasi totale (e che da più di 75 anni resiste alla nakba, la “catastrofe” rappresentata dall’espulsione forzata dalla sua terra d’origine). Oggi la popolazione di Gaza si vede privata totalmente di acqua, cibo, elettricità, medicine e qualsiasi supporto internazionale che metta in salvo le vite di più di 2 milioni di persone.
Pertanto, il nostro comitato editoriale rifiuta categoricamente queste narrative, consapevole dei loro effetti materiali e violenti non solo sulle vite di contesti apparentemente lontani, ma anche sulle persone razzializzate e alterizzate nella società italiana, in molte altre realtà d’Europa (quali la Germania o la Francia) e negli Stati Uniti. Soprattutto, ci preme condividere in questo momento una riflessione critica sul significato della “decolonizzazione” nell’accademia e al di fuori di essa.
La decolonizzazione della produzione del sapere non può avvenire senza la decolonizzazione dei popoli e della terra. La decolonizzazione non è una metafora, per citare il titolo di un articolo di Eve Tuck e di K. Wayne Yang (“Decolonization is not a metaphor”). Cosa significa questo termine se non siamo capaci di riconoscerne le complessità e le dinamiche nel mondo che ci circonda, al di fuori delle categorie ordinate delle nostre discipline? A cosa ci serve questo concetto se non possiamo coglierlo proprio dove è più necessario, richiamato e inderogabile? L’articolo di Tuck e Wayne ci ricorda che la decolonizzazione deve essere ricondotta alla questione della terra e della sua liberazione, o altrimenti si parla di altro. La decolonizzazione non è una teoria astratta, né sinonimo di altre operazioni di emancipazione. Essa riguarda invece propriamente la liberazione della terra, la possibilità dei popoli di vivere ed esistere su di essa, e la liberazione delle “culture” indigene dalle categorie e dagli strumenti di origine coloniale. Soprattutto, la decolonizzazione non può essere un concetto che mette al riparo la coscienza delle società coloniali dalle loro responsabilità.
Il nostro impegno intellettuale verso la “decolonizzazione” dei saperi rivela tutta la sua politicità proprio nei momenti in cui le narrative coloniali a cui stiamo assistendo nel presente si legano così saldamente e chiaramente all’esercizio della violenza nella regione di cui ci occupiamo.
Il Comitato editoriale di Maydan reitera oggi il suo impegno per una reale libertà intellettuale, che sia capace di impegnare l’accademia nel presente in cui essa si inserisce e che ci permetta di confrontarci onestamente sulla giustizia e sull’oppressione nel mondo al di fuori delle nostre istituzioni, dei nostri articoli e dei nostri libri. Non possiamo parlare di libertà e onestà intellettuale senza essere critici delle operazioni di censura messe in atto attualmente contro tutto ciò che è palestinese (come nel caso delle piattaforme dei social media o della recente cancellazione della consegna del premio letterario LiBeraturpreis a Adania Shibli).
Solo camminando su una terra libera si può produrre conoscenza libera. Solo costruendo conoscenze e saperi in relazione organica con la terra possiamo praticare una ricerca non estrattiva e non astratta, ma radicata e presente a sé stessa e al mondo.
في هذه اللحظة التاريخية لمنطقة الشرق الأوسط والعالم، التي تمر بعنف رهيب على المستوى المادي والرمزي والمعرفي، ترغب لجنة التحرير لمجلة ”ميدان“ بالتعبير بقوة حول موضوع فك الاستعمار كونه مصطلح يتخلل العلوم الاجتماعية والإنسانية اليوم فيما يتعلق بالعوامل التي نهتم بها، والذي يرتكز أيضًا القضية الفلسطينية. يجب علينا أن نمارس نقد وحذر تجاه الإعلام إن كنا نسعى أن نعبر عن ونمارس فعليا تفكيك المعرفة وتحريرها من الاستعمار
يظهر الإعلام في هذه الأيام في إيطاليا وأوروبا والولايات المتحدة مضلل ومبني على مواقف استشراقية ومستعمرة جديدة، ويتم تمويهها تحت عنوان “الحرب على الإرهاب”. لغة وسائل الإعلام تعيد استخدام تقنيات دعائية استخدمت بهذا القدر في أوقات الحادي عشر من سبتمبر والغزو الأمريكي للعراق، الذي – لن ننسى أبدًا – ادى الى مقتل مليون عراقي، الذين تم اعتبارهم ضحايا ثانويين. على الرغم من أن جزءًا من الأكاديمية تعتقد أن خطاب الاستشراق الجديد تم تجاوزه، فإنه يستخدم وينفذ حتى اليوم لدعم العنف واستخدام أكثر الأسلحة تدميرًا في العالم ضد شعب يعاني من عقوبات شبه شاملة منذ 17 عامًا (ويقاوم النكبة منذ أكثر من 75 عامًا، وهي “الكارثة” التي أدت الى التهجير القسري من أرضهم). ويعاني سكان غزة منذ أيام عديدة من حرمان الماء والطعام والكهرباء والأدوية وأي دعم دولي يسعى لحفظ حياة أكثر من مليوني شخص
في هذا السياق تعرب لجنة التحرير لمجلتنا عن رفضها لهذه السرديات بشكل قاطع، عارضة لآثارها المادية والعنيفة على سياقات تبدو بعيدة عنا و على حياة الأشخاص المجنسين و المعتبرين ك”آخر” في المجتمع الإيطالي، وفي العديد من السياقات الأخرى في أوروبا (مثل ألمانيا وفرنسا) وفي الولايات المتحدة. لذلك نرغب في مشاركة تأمل نقدي في معنى “فك الاستعمار” في الأكاديمية وخارجها في هذا الوقت
لا يمكن أن يحدث فك الاستعمار في إنتاج المعرفة من دون فك الاستعمار للشعوب والأرض. فك الاستعمار ليس مجرد مجاز، لنقل عنوان مقالة ل ايف تاك و ك. واين يانغ .ماذا يعني هذا المصطلح إن لم نكن قادرين على التعرف على تعقيداته وتصوراته في العالم من حولنا خارج المفاهيم المنظمة في تخصصاتنا؟ ما معنى هذا المفهوم إذا لم نتمكن من فهمه حيث يكون ضروريًا، ويجب الرجوع إليه؟ يُذكرنا مقال تاك و يانغ بأن يجب أن يرتبط فك الاستعمار بقضية الأرض وتحريرها، وإلا سيكون حديثنا عن أشياء مختلفة عنه. فك الاستعمار ليس نظرية مجردة، ولا مرادفًا لعمليات تحرير أخرى. بل يتعلق بتحرير الأرض، وبإمكانية الشعوب بالعيش والتواجد عليها، وبتحرير “ثقافات” الشعوب الأصلية من المصطلحات والأدوات ذات الأصل الاستعماري. وقبل كل شيء، لا يمكن أن يكون فك الاستعمار مفهومًا يحمي وعي المجتمعات الاستعمارية من مسؤولياتها
التزامنا الفكري نحو “فك الاستعمار” للمعرفة يكشف عن سياسته خاصة في اللحظات التي تربط فيها السرديات الاستعمارية التي نشهدها في الوقت الحاضر بشكل وثيق وواضح بممارسة العنف في المنطقة التي نبحث بها
تؤكد لجنة التحرير لمجلة ”ميدان“ التزامها نحو ممارسة حرية فكرية فعلية تمكن الأكاديمية من المشاركة والانخراط في الواقع الذي تندرج فيه وتسمح لنا بالتعامل مع العدالة والقمع بصدق في العالم خارج مؤسساتنا و مقالاتنا وكتبنا. لا يمكننا الحديث عن حرية ونزاهة فكرية دون أن نكون ناقدين لعمليات الرقابة والتعتيم التي تُنفذ حاليًا ضد كل ما هو فلسطيني كما في حالة منصات وسائل التواصل الاجتماعي أو في حدث إلغاء تسليم الجائزة الادبية “ليبيراتوربرايس” إلى الكاتبة الفلسطينية عدنية شبلي
لا يمكننا إنتاج معرفة حرة الا وان مشينا على أرض حرة. لا نستطيع ممارسة بحثًا غير استخراجي وغير مجرد إلا من خلال بناء المعرفة بشكل عضوي و متجذر في الأرض وقادر على أن يكون مدرك لنفسه والعالم